Ogni architettura felicemente riuscita è silenziosa macchina del tempo. Un teatro fatto di historiae e di attese. La trasformazione fisica e manifesta dei siti è azione che si accompagna a una parallela manipolazione, immateriale e latente, dei tempi. L’architettura è generata dai bisogni e dai condizionamenti del presente ma riesce nel suo scopo attraverso un passo doppio: il ri-montaggio di saperi ed esperienze passate e la prefigurazione di scenari e possibilità future, secondo una trama complessa fatta di rammemorazioni e protensioni, giudizi e speranze. Un movimento oscillatorio steso tra permanenze ed emergenze, tra irriducibili determinazioni storiche e natura, tra necessità e libertà, e dove il dato valoriale fondamentale non risiede in uno di questi poli confliggenti ma nel farsi e disfarsi incessante degli intrecci e delle relazioni reciproche presenti nel campo di forze da essi generato. L’architettura è, nella generalità dei casi, destinata all’anacronismo e alla sopravvivenza tenace e dunque a un meccanismo di condensazione dei portati disciplinari e culturali - in guisa di un palinsesto che nel suo lento stratificarsi acquista senso e densità concettuale – e in ciò la «breve eternità delle opere d’arte».